Mariana Maino
Juan faceva fotografie meravigliose. Volti sorridenti in bianco e nero, figure piene di vita. Aveva grandi ideali di giustizia sociale e parità e viveva nel Paese giusto per portare avanti determinate battaglie: il Cile socialista del presidente Salvador Allende. Ma l’11 settembre del 1973 tutto è cambiato: feroci militari guidati da Augusto Pinochet hanno preso il poter e il Cile ha cambiato faccia. Chi osava opporsi alla sanguinaria dittatura militare veniva sequestrato, ucciso e fatto sparire. Chi riusciva a salvarsi si esiliava o entrava in clandestinità.
Juan Maino Canales era un fotografo, studiava ingegneria meccanica ed era militante del MAPU, partito politico della sinistra cilena. Il 26 maggio del 1976 aveva 27 anni quando è stato sequestrato dagli agenti della Dina, la temibile polizia segreta di Pinochet. Da allora è desaparecido. Non si sa cosa ne sia stato di lui e dove si trovi il suo corpo, ma grazie all’instancabile lotta di Filma Canales, madre di Juan e una delle più coraggiose esponenti per ottenere verità e giustizia per le vittime della dittatura, le indagini sulla sua sparizione non si sono mai fermate e, molti anni dopo, la macchina di Juan è stata ritrovata dentro a Colonia Dignidad, uno dei luoghi più oscuri della storia cilena. Fondata nel 1961 da nazisti in fuga dalla Germania è diventata un centro di tortura durante la dittatura di Pinochet. Juan aveva origini italiane ed è una delle vittime del Processo Condor. Nel 2015 è stata esposta a Roma la sua prima mostra ufficiale come fotografo e oggi ci racconta la sua storia Mariana, sorella di Jaun.
Cosa è successo a tuo fratello?
Nel 1976 Juan studiava ingegneria meccanica e stava svolgendo la sua tesi insieme a due amici, Antonio ed Elizabeth, appartenenti al Partito comunista. Il 26 maggio loro due sono stati sequestrati all’uscita dal lavoro. Juan si trovava nel loro appartamento, stava aspettando che tornassero per poter continuare a lavorare alla tesi quando sono arrivati i militari di Pinochet per sequestrarlo. Insieme a lui hanno portato via anche la sua auto. Quello che sappiamo è che tutti e tre sono stati detenuti nel centro di tortura di Villa Grimaldi a Santiago dove sono stati lungamente torturati. Non sappiamo per quanto tempo vi siano rimasti, ma dopo sono stati portati a Colonia Dignidad.
Avete ritrovato l’auto di Juan?
A Colonia Dignidad è apparsa la sua auto, molto tempo dopo, grazie a un ex abitante della Colonia che era scappato in Canada e che ha raccontato che lì c’erano delle automobili sotterrate. Il giudice Jorge Zepeda è riuscito, durante il processo a trovare queste automobili che si trovavano in una fossa molto profonda e fra cui c’era anche l’auto di Juan.
Com’è iniziato il processo per la scomparsa di tuo fratello?
Come famiglia siamo stati abbastanza “fortunati” perché la maggioranza delle vittime della dittatura purtroppo non ha diritto a un processo. Nel nostro caso invece il giudice Zepeda ha letto un articolo scritto da mia madre sul perdono che lo ha commosso così tanto da decidere di avvicinarsi alla nostra famiglia per indagare sulla scomparsa di Juan. Quando ha incontrato mia madre per la prima volta le ha detto che non l’avrebbe lasciata perché capiva quello che stava vivendo. Così si è fatto carico del caso ed è riuscito a scoprire, dopo lunghissime indagini, dov’è stato portato Juan. È stato molto complesso perché nel caso di mio fratello non ci sono ossa o vestiti che possano aiutare, tutto è stato ricostruito grazie alle testimonianze. Come famiglia abbiamo fatto un lungo cammino insieme al giudice Zepeda per arrivare alla sentenza del processo. Mia madre diceva sempre: “Speriamo di ritrovarlo vivo”. E poi col tempo ha iniziato a dire: “Speriamo che sia morto subito perché così avrebbe sofferto meno”.
Come famiglia avete potuto fare una funzione per Juan?
Il giudice Zepeda ci ha autorizzato ad entrare a Colonia Dignidad insieme ad alcuni amici di Juan per fare una funzione, una specie di funerale. Per noi è stato importantissimo. Quando una famiglia viene colpita da un lutto così duro e non c’è un funerale il dolore dura eternamente. Non avrai mai una tomba, non avrai mai una fine. Ogni famiglia ha la sua storia e la nostra ha avuto almeno la “fortuna” di poter svolgere una funzione meravigliosa per Juan.
Com’era la tua famiglia?
Era una famiglia come molte in Cile, di immigrati italiani di classe media. Siamo sei fratelli e Juan era il maggiore, aveva due anni più di me. Mio padre era italiano, proveniva da Caltrano, in Veneto ed è emigrato con i suoi genitori nel ‘900. Mio padre è morto per problemi di cuore a 54 anni e per Juan le responsabilità sono molto cambiate, la sua vita è diventata più dura e ha cominciato ad avere i primi contatti con la politica.
Che tipo era?
Aveva molto senso dell’umorismo ed era molto dolce, amava i bambini e gli anziani. Gli piaceva molto il contesto familiare, dei sentimenti e della semplicità. Non è mai stato il tipo di persona che aspirava ad avere un’immagine pubblica. Era una persona che teneva un profilo basso ma aveva grandi ideali e molto senso della responsabilità. Juan oggi avrebbe 73 anni: è scomparso quando ne aveva 27, durante i migliori anni della sua vita, quando stava iniziando a realizzare tutti i suoi sogni e obiettivi.
Tua madre è stata una delle persone che più ha lottato per ottenere verità e giustizia per i desaparecidos in Cile. Che ricordo hai di lei?
Nostro padre è morto quando Juan aveva 17 anni, 10 prima della scomparsa. Dal momento in cui è sparito mia madre si è dedicata a ricercarlo con tutta se stessa. Era una persona estremamente determinata e rigorosa e, mentre lottava per Juan, ha lavorato e cresciuto da sola 5 figli. Per capire che tipo era mia madre è sufficiente sapere che durante un anniversario della scomparsa di Juan voleva pubblicare un epitaffio sul Mercurio, un giornale molto schierato a destra e principale quotidiano cileno, ma durante la dittatura sarebbe stato impossibile far pubblicare un articolo con la parola “desaparecido”. Mia madre si è ingegnata ed è riuscita a far pubblicare un articolo in cui parlava della scomparsa di mio fratello senza mai dirlo esplicitamente. Questa era mia madre. Quando è stata letta la sentenza per il caso di mio fratello mia madre l’ha letta, ha guardato la foto di Juan che teneva sempre vicina e una settimana dopo è morta. Ha riposato quando ha capito che finalmente poteva farlo.
Cosa ha significato per te essere la sorella di un desaparecido?
Con la sparizione di Juan a me è venuto a mancare il mio socio, il mio complice, il mio gande amico. Avevamo gli stessi amici, andavamo insieme alle feste: avevamo una profonda complicità. Rideva molto di me perché pensava che io dividessi il mondo in maniera molto radicale fra i buoni e i cattivi. Juan era un fratello molto divertente e mi ha insegnato molto. Io ero più convenzionale come persona e lui con i suoi ideali mi ha insegnato davvero molto. Grazie a lui e insieme a lui ho conosciute cose e persone meravigliose. Dopo la sua scomparsa ho ereditato i suoi amici e sono persone incredibili che insieme a lui hanno fatto un cammino di grande coraggio e coerenza e molto leale nei suoi confronti. Un trauma del genere produce conseguenze molto profonde in una famiglia: dolori, solitudine e rabbia. Però abbiamo anche sempre sentito l’orgoglio del fatto che Juan avesse fatto parte della nostra famiglia.
Perché è importante continuare a chiedere verità e giustizia dopo così tanti anni?
È un cammino che comincia e non finisce quello della ricerca. Le persone non capiscono quanto sia duro e, a volte, anche se lo capiscono preferiscono ignorarlo perché è un tema scomodo. Quindi perché è così importante continuare? Credo che noi lo faremo fino alla fine della nostra vita. Si è fatto scomparire qualcosa ma in fondo non è scomparso, quindi è molto importante mantenere il ricordo, mantenere la sua memoria con dignità. È molto importante parlare sempre di ciò che gli scomparsi sono stati costretti a vivere, sono situazioni così dure che l’unico desiderio è che nessun’altra persona debba mai più viverlo. Ciò che di più importante possiamo fare è far sì che i desaparecidos non scompaiano mai.